Un caso concreto
Immaginate un bambino goffo, impacciato, un po’ imbranato, che urta dappertutto, non riesce ad infilarsi il cappotto, non sa dare un calcio al pallone, inciampa nel salire le scale, scrive male, ha difficoltà a farsi degli amici, resta un po’ isolato, probabilmente è un bambino disprattico, ma cos’é la diprassia?
La disprassia è la difficoltà a rappresentarsi, programmare, ed eseguire movimenti intenzionali finalizzati al raggiungimento di uno scopo.
Secondo un articolo scientifico pubblicato nel 2007 da ricercatori inglesi ne sarebbe colpito in forma più o meno grave circa il 6% dei bambini.
Il disturbo sembra più frequente nei maschi che nelle femmine con una rapporto di quattro a uno.
Esistono più tipologie di disprassia, verbale, orale, dell’abbigliamento, degli arti superiori, della scrittura, dello sguardo, della marcia, del disegno, costruttiva. In un bambino sono riscontrabili una o più tipologie di disprassia di cui una preminente rispetto ad altre.
Ma la disprassia è essenzialmente un disturbo della coordinazione motoria che coinvolge molti ambiti della vita del bambino.
A partire dalla sfera delle autonomie personali con le difficoltà a vestirsi, ad allacciarsi le scarpe, o i bottoni, a muovere le posate adeguatamente per mangiare;all’ambiente scolastico, dove le criticità sono rappresentate dallo scrivere, disegnare, usare le forbici; al settore sociale, quindi nel gioco con i compagni, dove il bambino non riesce a saltare, saltellare, giocare con la palla.
Le cause della disprassia ancora non sono chiare, ciò che si sa è che non sembra associata a particolari lesioni cerebrali, e l'ipotesi è che sia dovuta a un'immaturità di alcuni circuiti nervosi del cervello. Ma il rischio di disprassia sembra più elevato in bambini che siano nati prematuramente (prima delle 37 settimane), che hanno un peso molto basso alla nascita, nati da mamme che hanno assunto alcol o droghe durante la gravidanza e che hanno una storia familiare di disturbi della coordinazione motoria.
Il bambino disprattico è anche disgrafico in quanto naturalmente avrà delle difficoltà grafo-motorie, ma non è vero il contrario, ossia un bambino disgrafico non è necessariamente disprattico.
Ecco alcune caratteristiche della disgrafia su base disprattica: la lentezza, la fluttuazione della performance e la scarsa strutturazione delle lettere.
C’è una vera e propria impossibilità di velocizzare la grafia di un bambino disprattico, segno che la scrittura non è stata automatizzata
Nella fluttuazione della performance, il bambino realizza la stessa lettera in modi diversi e mette in pratica modi diversi di indovinare e sbagliare.
Ultima caratteristica è la scarsa strutturazione delle lettere, le quali vengono realizzate con incertezza e scarsa fluidità.
Quella che segue è l’esempio della grafia di un ragazzo di 12 anni disgrafico e con una lieve disprassia.

Nella scrittura è da notare la scarsa strutturazione delle lettere e le lettere vergate con una forma allargata.
Il ragazzo ha difficoltà a rappresentarsi mentalmente la forma delle lettere e a riprodurla sia nello spazio che su carta.
Nella quotidianità però, non si presenta come un ragazzo goffo o impacciato, è uno sportivo, pratica il pugilato con successo, ha parecchi amici ma è piuttosto introverso e riservato. Ha difficoltà nella motricità fine, vorrebbe imparare a sbucciare le patate e ad aprire le bottigliette di succo di frutta, cose che non riesce a fare.
Come abbiamo visto la disprassia può limitare molto la vita di un bambino o di un ragazzo, ma la buona notizia è che, soprattutto se individuata precocemente, si possono ottenere dei notevoli miglioramenti con i trattamenti adeguati.
La valutazione viene fatta da un’equipe costituita da vari esperti: neuropsichiatra infantile, psicologi dell’età evolutiva, logopedisti, terapisti della neuropsicomotricità, che insieme collaborano per mettere a punto un profilo funzionale del soggetto ai fini sia della diagnosi che di un progetto mirato di terapia.